Ranking reputazionale e controllo dei lavoratori: il caso Deliveroo

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L’algoritmo di Deliveroo per valutare i “riders” addetti alle consegne. Il Giudice del Tribunale del Lavoro di Bologna ha dichiarato come discriminatoria la condotta della società.


Il 31 dicembre 2020 il Giudice del Tribunale del Lavoro di Bologna, ha dichiarato come discriminatoria la condotta della società Deliveroo Italia s.r.l. - operante nel settore delle consegne di cibo a domicilio - in relazione all’utilizzo di un algoritmo per valutare i “riders” addetti alle consegne.

Con il ricorso proposto in data 16 dicembre 2019 da Nidil-Cgil, Filcams-Cgil e Filt-Cgil, le organizzazioni sindacali convenivano in giudizio Deliveroo Italia s.r.l., per l’accertamento della natura discriminatoria delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro, tramite la piattaforma digitale della convenuta.

Fino al 2 novembre 2020, infatti, Deliveroo Italia s.r.l. metteva a disposizione dei riders una piattaforma digitale (o servizio flessibile di prenotazione self-service “SSB”). La piattaforma consentiva di pianificare, distribuire e gestire i flussi di lavoro fra coloro che si erano preventivamente resi disponibili prenotando le sessioni di lavoro (fasce orarie). Prenotata la sessione, al rider pervenivano tramite l’applicativo SSB delle proposte di servizio. Le sessioni venivano di fatto “sbloccate” e rese prenotabili in tre diverse fasce orarie, entro il limite del fabbisogno calcolato dalla piattaforma, e sulla base di un punteggio attribuito ai riders da un algoritmo (denominato “Frank”). 

La logica di Frank

Il punteggio assegnato dall’algoritmo si basava su due parametri: affidabilità e partecipazione del lavoratore. La profilazione avveniva sulla base di statistiche elaborate dalla società, in relazione al numero di volte in cui i riders si rendevano disponibili in orari più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio (ad es. dal venerdì alla domenica, dalle 20 alle 22), e in base al tasso di rispetto delle prenotazioni. I riders venivano penalizzati per qualsiasi annullamento di una prenotazione della sessione, con un preavviso inferiore alle 24 ore, oppure in caso di mancato “log in” al sistema, una volta all’interno della zona di lavoro prenotata.

Quando il sistema penalizzava l’utente, quest’ultimo non poteva più accedere alle fasce orarie migliori, e, nel tempo, i riders con punteggio (o “ranking reputazionale”, come definito dai ricorrenti) inferiore finivano per avere sempre minori occasioni di lavoro (le sessioni disponibili via via si riducevano).

Nello specifico, i riders con le statistiche migliori potevano accedere al sistema alle ore 11:00 del lunedì, avendo quindi a disposizione tutte le sessioni libere della settimana successiva, che via via potevano prenotare, occupandole; i riders che accedevano dalle 15:00 avevano a disposizione le sessioni di lavoro non prenotate dai riders precedenti; infine i riders che accedevano dalle ore 17:00 avevano a disposizione solo gli slot rimasti e lasciati liberi dai colleghi. 

Concretamente, secondo quanto testimoniato da un rider chiamato in giudizio, ciò si traduceva in un gap di ore lavorabili molto rilevante: i gruppi di lavoratori classificati meglio (prima fascia) potevano lavorare anche quaranta ore a settimana; i gruppi in seconda fascia dalle tredici alle diciassette ore; mentre i gruppi in terza fascia (ovvero i soggetti maggiormente penalizzati dall’algoritmo) una o due ore.

Le conseguenze concrete per interessati

Così definito il sistema di accesso alle prenotazioni, le organizzazioni sindacali lamentavano che l’algoritmo penalizzava qualsiasi forma di astensione dal lavoro, punendo allo stesso modo i riders che si assentavano per ragioni illegittime e i riders che si assentavano per cause legittime, quali la malattia, esigenze legate a figli minori, forme di autotutela collettiva, etc.).  

Secondo i ricorrenti, la valutazione della affidabilità del rider “in stretta correlazione con le priorità nella scelta delle sessioni di lavoro, inibisce il diritto di sciopero in quanto, ogni eventuale partecipazione ad “azioni collettive” - a fortiori se intervenute nelle sessioni di maggiore interesse per l'azienda (venerdì, sabato e domenica) –produce per il “worker” una drastica riduzione del suo punteggio che si ripercuote sulle possibili future occasioni di lavoro facendolo retrocedere nelle fasce di priorità”.

La decisione

Con la sentenza del 31 dicembre, il Tribunale di Bologna, accoglie questa interpretazione, confermando che “appare provato che l’adesione ad una iniziativa di astensione collettiva dal lavoro è idonea a pregiudicare le statistiche del rider”. Anche in caso di malattia, il rider non ha alcuna possibilità di mantenere inalterata la sua classificazione, in quanto per dimostrare l’affidabilità, non basta prenotare la sessione ma è necessario anche loggarsi all’interno della zona di lavoro ove la sessione è stata prenotata, in quanto l’app ne rileva la posizione geografica grazie alla geolocalizzazione. Il sistema appare quindi incompatibile con l’esercizio del diritto di sciopero, e a maggior ragione con l’eventuale stato di malattia o con la necessità di assistere un figlio minore malato, che normalmente presuppongono l’impossibilità di allontanarsi dal proprio domicilio.

Peraltro, dalla deposizione del teste indotto a giudizio dalla Resistente “gli unici due casi in cui Deliveroo prende in considerazione le ragioni della mancata partecipazione alla sessione prenotata sono: se c’è stato un sinistro su turni consecutivi di cui si ha evidenza che ha di fatto impedito la prosecuzione del lavoro e se c’è stato un problema tecnico del sito che cade, cioè che non funziona più.” Ciò significa che “quando vuole la piattaforma può togliersi la benda che la rende “cieca” o “incosciente” rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider”.

La discriminazione indiretta dei lavoratori

Ne consegue che, il sistema di accesso alle prenotazioni adottato da Deliveroo Italia s.r.l. realizza, secondo il Tribunale del lavoro di Bologna, una forma di discriminazione indiretta dei lavoratori, mettendo in una posizione di particolare svantaggio determinate categorie di lavoratori (chi, per ragioni legittime, si astiene dal lavoro).

Infatti, mentre nel caso di discriminazione diretta è la condotta, ovvero il comportamento tenuto, che determina la disparità di trattamento; nel caso di discriminazione indiretta la disparità è l'effetto di un comportamento che è corretto in astratto ma che, in quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con particolari caratteristiche (che costituiscono il fattore di rischio della discriminazione) determina invece una situazione di disparità che l'ordinamento sanziona (il Tribunale richiama, per definire tale concetto chiave, la sentenza n. 20204 Cass. 25/07/2019).

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